Di Daniele Billitteri
(Per gentile concessione dell'autore, con grande piacere pubblichiamo)
Quando ero bambino fui mandato a tradimento a imparare la Tartantella. Io e mia sorella, con la morte nel cuore, ci consegnammo a un boia di quartiere in una casa a secondo piano di un palazzetto in una traversa di via Oreto a pochi passi dalla Mensa del Ferroviere, luogo che mi era senza dubbio più congeniale.
La stanza dell’esecuzione era un piccolo salone dove stavamo ammassati. Saremo stati una trentina, metà maschi e metà femmine. Ma invece del gas, da un giradischi Sinudyne a valigia, usciva l’assordante suono dei pifferi, delle ocarine e di ogni sorta di tamburelli e ciancia nelle. Trallallero , lallero, lallà: venivamo schierati uno di fronte all’altro e cominciava l’addestramento. Era come una controdanza figurata e io già mi vedevo con gilet di velluto e calzettoni coi giummi rossi. Terribile. Levai mano, anzi, piedi, prestissimo. E così mia sorella. La cometa del ballo era passata.
Tuttavia, come tutti sanno, le comete sono evanescenti ma inesorabilmente periodiche. Così, a distanza di mezzo secolo la cometa è tornata: ne identifico i bagliori nel cielo del mio immediato futuro. Ne vedo la luce, ne sento il profumo di ozono, ne sento il rumore. Solo non rischio più la Tarantella ma qualcosa di più profondo e guardo la cometa avvicinarsi con lo stesso rapimento con cui, immagino, Arno Penzias e Robert Wilson ascoltarono per la prima volta il rumore della radiazione di fondo a microonde, il primo vagito dell’Universo. La cometa è ogni giorno più vicina, si chiama Tango e, penso, mi rapirà.
In questi giorni, quasi per caso, ho frequentato l’ambiente dei tangueri palermitani che sono davvero tantissimi. Non che fossi del tutto “asciutto”, questo no. Intanto perché adoro la musica in generale, penso sia una lingua universale e coltivo il segreto progetto di reincarnazione in una rockstar. Poi al giornale dove lavoro c’è qualche collega prudente frequentatore di milonghe, malinconico allisciatore di balate. Poi penso sempre a Rodolfo Valentino con la rosa tra i denti e una donna fatale trattenuta e sedotta in un caschè. Insomma, alla voce “tango”, qualche file nel mio personale database lo riesco a reperire.
Il primo “inciampo” recente risale all’anno scorso essendo capitato per caso ai Candelai in una delle sere dedicate al tango. Ma il mio corpo, quella sera, non avvertì nulla: troppo casino, troppi drink, troppi “cumpa’ che vai facendo”, troppi “saaanti lo hai visto l’ultimo Nokia?”. Inquinamento acustico potente.
Qualche settimana fa, attratto dal “fumus” della clandestinità, approdo a uno dei blitz di Milongablitz, confraternita di tangueri che praticano il “ballo clandestino” riunendosi “a timpulata” nei posti più impensati della città per ballare il tango. Non hanno niente se non le scarpe e gli stereo delle macchine. Le scarpe obbligatorie perché quelle “ad hoc” sono imposte dalla tecnica del ballo, la musica pure perché è chiaro. Ma sino a un certo punto. Perché la musica basta che la senta chi balla. Ovvio ma – voglio dire – basta pure condividere un auricolare su un telefonino che contenga in memoria un tango qualsiasi. Potrebbero ballare tutti senza fare rumore. Così, mentre salite nello studio di un medico a terzo piano, sul pianerottolo del secondo potete sempre incontrare una coppia che balla il tango in perfetto silenzio. Ho tanta voglia di avere una fortuna simile che quasi quasi chiedo a qualche coppia di amici di organizzarla per me attipo fiction.
Già al blitz ho guardato con un altro occhio. Avevo la possibilità di concentrarmi, il colpo d’occhio di un largo marciapiedi pieno di gente che balla con le movenze tipiche del tango, quegli scatti dolci, quelle pause, le stesse di quando – con rispetto parlando – si fa l’amore. Quelle rapide riprese , le stesse di quando – con rispetto parlando – l’amore passa dal settore ginnastica al settore arte.
Venerdì scorso sono finito al Gattopardo che ha ospitato la prima di tre serate di un club palermitano di appassionati che offre pure la possibilità di cibarsi delle lezioni di alcuni importanti maestri.
Non fosse per la musica, l’avresti detta una bella pizzeria sotto le fronde di begli alberi. Ma dentro non meno di cento persone affollavano la pista da ballo che ti sembrava di essere in un club di New York ai tempi di Moonlight Serenade. Un momento, un momento: Non si muovono forse anche nelle discoteche? Sì, verissimo. Ma, se mi si passa l’ossimoro, quello è un “movimento fermo”, un saltellare come Rocky che si allena in palestra col la corda. Lì no. Col tango invece li vedi muovere come la schiuma a spirale nella tazza del cappuccino al Rosa Nero, continui giri di pista, tangenziali, rotatorie, intersezioni. Tutti in modo apparentemente casuale. E se guardi dalla cintola in giù vieni rapito dal gioco di gambe, dall’intreccio dei piedi che sembra un twister senza tappeto coi colori, sgambetti perennemente tentati e mai riusciti. Nel senso che nessuno cade. Come gettare in aria un mazzo di carte che poi ricadono tutte in ordine dall’asso di denari al re di coppe.
Tanta gente, poco brusio, molta musica. I tavoli sono quelli di una pizzeria. Bottiglie di birra, piatti ormai quasi vuoti col bordo della pizza, unico testimone del centro divorato. A un tavolo festeggiano pure un compleanno e di una favolosa torta alla frutta beneficiamo pure noi vicini anche se esterni alla “tacca” festeggiante.
La pista continua a sobbollire. Perché la regola è sempre quella della “tanda”, mi dicono. La dama viene invitata ma ci si fanno non meno di tre giri. Se uno la posa prima è mala figura e vastasaria seria. Ma guardiamoli questi tangueri.
Età: tutte. Unioni: tutte. Stili di abbigliamento: tutti. I tangueri sono di tutte le età. Diciamo da 20 a 65? Sospetto che qualcuno ne abbia pure qualcuno in più anche se portato bene. Fisici di tutti i tipi: alti, bassi, magri, tarchiatelli, chiatti, tappi, strafighi e strafighe, gambe dritte, gambe storte, caviglie sottili, o a uso snodi di fognature. Ma il bello è che non gliene frega niente a nessuno. Così puoi vedere Richard Gere che balla con Miss Marple o Miss Italia intenta a farsi volteggiare da Tanicchio. Gli uomini sono vestiti in modo assolutamente casual a uso pizza del sabato sera alla “Grigliata Mista”. Ma quasi tutti ostentano scarpini da ballo, quasi sempre bicolori a tipo Philo Vance. Tuttavia, mai come in questo caso, il morale è sotto la suola delle scarpe, ma al contrario, nel senso che è alto, altissimo. Quella scarpe dalle suole particolari, danno infatti la certezza che il piede scivolerà nel modo giusto quando si affronteranno le figure più funamboliche del ballo, senza correre il rischio di infamanti capitomboli.
Le femmine sono casual pure loro con una certa tendenza, per chi se lo può permettere, alla vetrina di gioielleria dove di prezioso ci sono le scollature, i decollete, l’assenza di reggiseno, i miniabiti cui le scarpe coi taccazzi attribuiscono ruolo impareggiabile nello snellire la coscia e nel sollevare il lato B. Ma se cercate malizia, ve ne potete andare. Perché nel Tango la sensualità, per come la vedo io – intendiamoci -, è una cosa del tutto particolare.
Allora: se si guarda una coppia che balla si viene rapiti dall’armonia dei movimenti, dalla “conversazione” che i due corpi – ma soprattutto le quattro gambe – intraprendono con fitta intimità. Ma i due ballerini si tengono moderatamente a distanza. Non è come i balli lenti della nostra adolescenza quando ballare era una delle prime esplorazioni alla ricerca di tutte le durezze indotte da scariche di adrenalina. Nel tango la “figura” di partenza è già, a suo modo, monumentale. Le gambe pronte, la mano del maschio sulla parte bassa della schiena (ma non sul culo, ovvio), i colli alti, te teste rivolte una a cristo e una a san giovanni. Uomo e donna non sono paralleli ma formano una sorta di angolo, un’apertura dal lato in cui la mano di lei è tenuta da quella di lui. Pronti a scattare quando la musica esce dal prologo senza ritmo per assumere l’andamento tipico del tango. La coppia potrà anche non guardarsi mai negli occhi, difficilmente si chiacchiera e se stato d’animo intravedi è quello della concentrazione massima. Questo perché – mi hanno spiegato – l’uomo conduce il gioco e per lui è tutto più difficile perché coi movimenti del corpo deve far capire cosa si appresta a fare perché la donna lo possa seguire in modo armonico e fluido, senza, si direbbe, balbettare.
Il tango è fatto di “figure” ma viene considerato un “ballo d’improvvisazione” dove molto viene lasciato all’estro creativo dei ballerini e questo amplifica il valore della loro capacità d’intendersi. Io, che amo la musica anche come impianto formale, quasi matematico, ho avuto l’impressione che la struttura portante del ballo segua il ritmo del basso ma “in levare”, come in un ritmo sincopato. E ho imparato che non tutti i tanghi sono uguali. C’è il tango, la milonga e il Tango Vals, che somiglia di più al un waltzer col suo tempo di ¾. E poi ho imparato… ma forse la sto portando troppo per le lunghe.
Ma quante cose ci sono dentro questo pensiero triste che i tangueri esprimono coi piedi. Quanti popoli, quante culture, quanti spazi immensi, quante storie, quante metafore. Quanti aggettivi: sensuale, malinconico, allegro, innamorato. E quanto oceano c’è tra un Tango della Capinera e un Criminal Tango. Così pensi che quando hai detto “Vado a ballare”, se è Tango, dovresti dire “Vado a vivere”. Per questo, forse, ci proverò.
2 commenti:
non poteva esserci penna più bella di quella di Daniele per raccontare questa nostra follia quotidiana che è il tango, e non lo dico per ruffianaeria ma perchè ammiro da tempo la sua scrittura e il suo modo di vedere le cose...
se riusciremo a trascinarlo in una milonga, non più da spettatore ma da tanguero, prenoto subito una tanda!!! se balla come scrive... :-)
Dopo tutti sti discorsi "FORSE ci provo!"
vuoi continuare ad andare ai Candelai il Venerdì e parlare dell'Ultimo NOKIA?
bel post
Antonio
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